L’olimpiade, Venezia, Rossetti, 1738

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Fondo selvoso di cupa ed angusta valle.
 
 LICIDA e AMINTA
 
 Licida
 Ho risoluto, Aminta;
 più consiglio non vuo’.
 Aminta
                                            Licida, ascolta.
 Deh modera una volta
 questo tuo violento
5spirito intolerante.
 Licida
                                     E in chi poss’io
 fuor che in me più sperar? Megacle istesso,
 Megacle m’abbandona
 nel bisogno maggior! Or va’, riposa
 sulla fé d’un amico.
 Aminta
                                      Ancor non dei
10condannarlo però. Breve cammino
 non è quel che divide
 Elide, in cui noi siamo,
 da Creta, ov’ei restò. L’ali alle piante
 non ha Megacle alfin. Forse il tuo servo
15subito nol rinvenne. Il mar frapposto
 forse ritarda il suo venir. T’accheta;
 in tempo giugnerà. Prescritta è l’ora
 agli olimpici giuochi
 oltre il meriggio ed or non è l’aurora.
 Licida
20Sai pur che ogniun che aspiri
 all’olimpica palma or sul mattino
 dee presentarsi al tempio? Il grado, il nome,
 la patria palesar? Di Giove all’ara
 giurar di non valersi
25di frode nel cimento?
 Aminta
                                          Il so.
 Licida
                                                      T’è noto
 ch’escluso è dalla pugna
 chi quest’atto solenne
 giugne tardi a compir? Vedi la schiera
 de’ concorrenti atleti? Odi il festivo
30tumulto pastoral? Dunque che deggio
 attender più? Che più sperar?
 Aminta
                                                          Ma quale
 sarebbe il tuo disegno?
 Licida
                                             All’ara innanzi
 presentarmi con gli altri.
 Aminta
                                                E poi?
 Licida
                                                               Con gli altri
 a suo tempo pugnar.
 Aminta
                                        Tu!
 Licida
                                                 Sì, non credi
35in me valor che basti?
 Aminta
                                           Eh, qui non giova,
 prence, il saper come si tratti il brando.
 Altra spezie di guerra, altr’armi ed altri
 studi son questi. Ignoti nomi a noi
 cesto, disco, palestra; a’ tuoi rivali
40per lung’uso son tutti
 familiari esercizi. Al primo incontro
 del giovanile ardire
 ti potresti pentir.
 Licida
                                   Se fosse a tempo
 Megacle giunto a tai contese esperto,
45pugnato avria per me. Ma s’ei non viene
 che far degg’io? Non si contrasta, Aminta,
 oggi in Olimpia del selvaggio ulivo
 la solita corona. Al vincitore
 sarà premio Aristea, figlia reale
50dell’invitto Clistene, onor primiero
 delle greche sembianze, unica e bella
 fiamma di questo cor, benché novella.
 Aminta
 Ed Argene?
 Licida
                         Ed Argene
 più riveder non spero. Amor non vive
55quando muor la speranza.
 Aminta
                                                  E pur giurasti
 tante volte...
 Licida
                          T’intendo. In queste fole,
 finché l’ora trascorra,
 trattener mi vorresti. Addio.
 Aminta
                                                      Ma senti.
 Licida
 No, no.
 Aminta
                 Vedi che giunge...
 Licida
                                                    Chi?
 Aminta
                                                                Megacle.
 Licida
60Dov’è?
 Aminta
                 Fra quelle piante.
 Parmi... No... Non è desso.
 Licida
                                                  Ah, mi deridi
 e lo merito, Aminta. Io fui sì cieco
 che in Megacle sperai.
 
 SCENA II
 
 MEGACLE e detti
 
 Megacle
                                           Megacle è teco.
 Licida
 Giusti dei!
 Megacle
                       Prence.
 Licida
                                       Amico.
65Vieni vieni al mio seno. Ecco risorta
 la mia speme cadente.
 Megacle
                                            E sarà vero
 che il ciel m’offra una volta
 la via d’esserti grato?
 Licida
                                          E pace e vita
 tu puoi darmi se vuoi.
 Megacle
                                           Come?
 Licida
                                                           Pugnando
70nell’olimpico agone
 per me, col nome mio.
 Megacle
                                            Ma tu non sei
 noto in Elide ancor?
 Licida
                                        No.
 Megacle
                                                  Quale oggetto
 ha questa trama?
 Licida
                                   Il mio riposo. Oh dio!
 Non perdiamo i momenti. Appunto è l’ora
75che de’ rivali atleti
 si raccolgono i nomi. Ah! Vola al tempio,
 di’ che Licida sei. La tua venuta
 inutile sarà, se più soggiorni.
 Vanne. Tutto saprai, quando ritorni.
 Megacle
 
80   Superbo di me stesso
 andrò, portando in fronte
 quel caro nome impresso
 come mi sta nel cor.
 
    Dirà la Grecia poi
85che fur communi a noi
 l’opre, i pensier, gli affetti
 e alfine i nomi ancor.
 
 SCENA III
 
 LICIDA ed AMINTA
 
 Licida
 Oh generoso amico!
 Oh Megacle fedel!
 Aminta
                                    Così di lui
90non parlavi poc’anzi.
 Licida
                                         Eccomi alfine
 possessor d’Aristea. Vanne, disponi
 tutto, mio caro Aminta. Io con la sposa
 prima che il sol tramonti
 voglio quindi partir.
 Aminta
                                        Più lento, o prence,
95nel fingerti felice. Ancor vi resta
 molto di che temer. Potria l’inganno
 esser scoperto; al paragon potrebbe
 Megacle soggiacer. So ch’altre volte
 fu vincitor; ma un impensato evento
100so che talor confonde il vile e il forte
 né sempre ha la virtù l’istessa sorte.
 
    Non fidarti della sorte,
 ch’ella è cieca e non ha legge.
 Spesse volte il vil protegge,
105spesso il forte perir fa.
 
    Nulla val contro fortuna
 il coraggio ed il valore.
 Ma prudente egl’è il timore
 in chi a esponere si va.
 
 Licida
110Egl’è pur importuno
 con questo suo noioso,
 perpetuo dubitar. Vicino al porto
 vuol ch’io tema il naufraggio! A’ dubbi suoi
 chi presta fede intera
115non sa mai quando è l’alba o quando è sera.
 
    Ripieno di furore
 segue destriero il corso,
 disprezza il fren del morso
 né voce di terrore
120lo giugne a spaventar.
 
    Così quest’alma mia
 non teme di periglio
 ma vuole il sol consiglio
 d’amore seguitar.
 
 SCENA IV
 
 Vasta campagna alle falde d’un monte; ponte rustico sul fiume Alfeo, composto di tronchi d’alberi rozzamente convessi; capanne pastorali, con veduta in lontano della città d’Olimpia.
 
 ARGENE in abito di pastorella, ARISTEA con seguito
 
 coro
 
125   O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
    Qui se un piacer si gode
 parte non v’ha la frode
 ma lo condisce a gara
130amore e fedeltà.
 
 coro
 
    O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
    Qui poco ogniun possiede
 e ricco ogniun si crede
135né più bramando impara
 che cosa è povertà.
 
 coro
 
    O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
    Senza custodi o mura
140la pace è qui sicura
 che l’altrui voglia avara
 onde allettar non ha.
 
 coro
 
    O care selve, o cara,
 felice libertà.
 
 Argene
 
145   Qui gl’innocenti amori
 di ninfe...
 
                     Ecco Aristea.
 Aristea
                                               Siegui, o Licori.
 Argene
 Già il rozzo mio soggiorno
 torni a render felice, o principessa?
 Aristea
 Ah fuggir da me stessa
150potessi ancor come dagli altri. Amica,
 tu non sai qual funesto
 giorno per me sia questo.
 Argene
                                                 È questo un giorno
 glorioso per te. Di tua bellezza
 qual può l’età futura
155prova aver più sicura? A conquistarti
 nell’olimpico agone
 tutto il fior della Grecia oggi s’espone.
 Aristea
 Ma chi bramo non v’è. Deh si proponga
 men funesta materia
160al nostro ragionar. Dimmi, Licori.
 Gl’interrotti lavori
 riprendi e parla. Incominciasti un giorno
 a narrarmi i tuoi casi. Il tempo è questo
 di proseguirgli. Il mio dolor seduci,
165raddolcisci, se puoi,
 i miei tormenti in rammentando i tuoi.
 Argene
 Se avran tanta virtù, senza mercede
 non va la mia costanza. A te già dissi
 che Argene è il nome mio, che in Creta io nacqui
170d’illustre sangue e che gli affetti miei
 fur più nobili ancor de’ miei natali.
 Aristea
 So fin qui.
 Argene
                       De’ miei mali
 ecco il principio. Del cretense soglio
 Licida, il regio erede,
175fu la mia fiamma ed io la sua. Celammo
 prudenti un tempo il nostro amor ma poi
 l’amor s’accrebbe e, come in tutti avviene,
 la prudenza scemò. Comprese alcuno
 il favellar de’ nostri sguardi, ad altri
180i sensi ne spiegò. Di voce in voce
 tanto in breve si stese
 il maligno romor che il re l’intese.
 Se ne sdegnò, sgridonne il figlio; a lui
 vietò di più vedermi e col divieto
185gliene accrebbe il desio, che aggiunge il vento
 fiamme alle fiamme e più superbo un fiume
 fanno gli argini opposti. Ebbro d’amore
 freme Licida e pensa
 di rapirmi e fuggir. Tutto il disegno
190spiega in un foglio; a me l’invia. Tradisce
 la fede il messo e al re lo reca. È chiuso
 in custodito albergo
 il mio povero amante. A me s’impone
 che a straniero consorte
195porga la destra. Io lo ricuso. Ogniuno
 contro me si dichiara. Il re minaccia,
 mi condannan gli amici, il padre mio
 vuol che al nodo acconsenta. Altro riparo
 che la fuga o la morte
200al mio caso non trovo. Il men funesto
 credo il più saggio e l’eseguisco. Ignota
 in Elide pervenni. In queste selve
 mi proposi abitar. Qui fra pastori
 pastorella mi finsi; or son Licori.
205Ma serbo al caro bene
 fido in sen di Licori il cor d’Argene.
 Aristea
 Inver mi fai pietà. Ma la tua fuga
 non approvo però. Donzella e sola
 cercar contrade ignote,
210abbandonar...
 Argene
                             Dunque dovea la mano
 a Megacle donar?
 Aristea
                                   Megacle! (Oh nome!)
 Di qual Megacle parli?
 Argene
                                            Era lo sposo
 questi che il re mi destinò. Dovea
 dunque obbliar...
 Aristea
                                   Ne sai la patria?
 Argene
                                                                   Atene.
 Aristea
215Come in Creta pervenne?
 Argene
                                                  Amor vel trasse,
 com’ei stesso dicea, ramingo, afflitto.
 Nel giungervi fu colto
 da stuol di masnadieri e oppresso ormai
 la vita vi perdea. Licida a sorte
220vi si avvene e ’l salvò. Quindi fra loro
 fidi amici fur sempre. Amico al figlio,
 fu noto al padre e dal reale impero
 destinato mi fu, perché straniero.
 Aristea
 Ma ti ricordi ancora
225le sue sembianze?
 Argene
                                    Io l’ho presente. Avea
 bionde le chiome, oscuro il ciglio, i labbri
 vermigli sì ma tumidetti, e forse
 oltre il dover, gli sguardi
 lenti e pietosi, un arrossir frequente,
230un soave parlar... Ma... Principessa
 tu cambi di color! Che avvenne?
 Aristea
                                                             Oh dio!
 Quel Megacle che pingi è l’idol mio!
 Argene
 Che dici?
 Aristea
                     Il vero. A lui
 lunga stagion già mio segreto amante,
235perché nato in Atene,
 niegommi il padre mio né volle mai
 conoscerlo, vederlo,
 ascoltarlo una volta. Ei disperato
 da me partì; più nol rividi. E in questo
240punto da te so de’ suoi casi il resto.
 Argene
 Inver sembrano i nostri
 favolosi accidenti.
 Aristea
                                    Ah s’ei sapesse
 ch’oggi per me qui si combatte!
 Argene
                                                            In Creta
 a lui voli un tuo servo e tu procura
245la pugna differir.
 Aristea
                                  Come?
 Argene
                                                  Clistene
 è pur tuo padre; ei qui presiede eletto
 arbitro delle cose; ei può se vuole...
 Aristea
 Ma non vorrà.
 Argene
                             Che nuoce,
 principessa, il tentarlo?
 Aristea
                                              E ben, Clistene
250vadasi a ritrovar.
 Argene
                                  Fermati. Ei viene.
 
 SCENA V
 
 CLISTENE con seguito e dette
 
 Clistene
 Figlia, tutto è compito. I nomi accolti,
 le vittime svenate, al gran cimento
 l’ora prescritta. E più la pugna ormai,
 senza offesa de’ numi,
255della pubblica fé, dell’onor mio
 differir non si può.
 Aristea
                                      (Speranze, addio).
 Clistene
 Ragion d’esser superba
 io ti darei se ti dicessi tutti
 quei che a pugnar per te vengono a gara.
260V’è Olinto di Megara;
 v’è Clearco di Sparta, Ati di Tebe,
 Erilo di Corinto e fin di Creta
 Licida venne.
 Argene
                            Chi?
 Clistene
                                        Licida, il figlio
 del re cretense.
 Aristea
                               Ei pur mi brama?
 Clistene
                                                                  Ei viene
265con gli altri a pruova.
 Argene
                                         (Ah, si scordò d’Argene).
 Clistene
 Sieguimi, o figlia.
 Aristea
                                    Ah questa pugna, o padre,
 si differisca.
 Clistene
                          Un impossibil chiedi;
 dissi perché. Ma la cagion non trovo
 di tal richiesta.
 Aristea
                               A divenir soggette
270sempre v’è tempo. È d’imeneo per noi
 pesante il giogo e già senz’esso abbiamo
 che soffrire abbastanza
 nella nostra servil sorte infelice.
 Clistene
 Dice ogniuna così ma il ver non dice.
 
275   Del destin non vi lagnate
 se vi rese a noi soggette;
 siete serve ma regnate
 nella vostra servitù.
 
    Forti noi, voi belle siete
280e vincete in ogni impresa,
 quando vengono a contesa
 la bellezza e la virtù.
 
 SCENA VI
 
 ARISTEA ed ARGENE
 
 Argene
 Udisti, o principessa?
 Aristea
                                           Amica, addio.
 Convien ch’io siegua il padre. Ah tu che puoi
285del mio Megacle amato,
 se pietosa pur sei come sei bella,
 cerca, recami, oh dio, qualche novella.
 
    Tu di saper procura
 dove il mio ben s’aggira,
290se più di me si cura,
 se parla più di me.
 
    Chiedi se mai sospira,
 quando il mio nome ascolta,
 se ’l proferì talvolta
295nel ragionar fra sé.
 
 SCENA VII
 
 ARGENE sola
 
 Argene
 Dunque Licida ingrato
 già di me si scordò! Povera Argene,
 a che mai ti serbar le stelle irate!
 Imparate, imparate
300inesperte donzelle. Ecco lo stile
 de’ lunsighieri amanti. Ogniun vi chiama
 suo ben, sua vita e suo tesoro; ogniuno
 giura che a voi pensando
 vaneggia il dì, veglia le notti; han l’arte
305di lagrimar, d’impallidir; talvolta
 par che sugli occhi vostri
 voglian morir fra gli amorosi affanni.
 Guardatevi da lor; son tutti inganni.
 
    Così il mio caro bene
310impallidì talvolta,
 tra mille affanni e pene
 d’amar giurò così.
 
    Oh dio! Che mai non disse?
 E pur misera ascolto
315che amante è d’altro volto,
 ch’ingrato mi tradì.
 
 SCENA VIII
 
 LICIDA e MEGACLE da diverse parti
 
 Megacle
 Licida.
 Licida
                Amico.
 Megacle
                                Eccomi a te.
 Licida
                                                         Compisti...
 Megacle
 Tutto, o signor. Già col tuo nome al tempio
 per te mi presentai. Per te fra poco
320vado al cimento. Or fin che ’l noto segno
 della pugna si dia, spiegar mi puoi
 la cagion della trama.
 Licida
                                          Oh, se tu vinci
 non ha di me più fortunato amante
 tutto il regno d’amor.
 Megacle
                                          Perché?
 Licida
                                                           Promessa
325in premio al vincitore
 è una real beltà. La vidi appena
 che n’arsi e la bramai. Ma poco esperto
 negli atletici studi...
 Megacle
                                       Intendo. Io deggio
 conquistarla per te.
 Licida
                                      Sì. Chiedi poi
330la mia vita, il mio sangue, il regno mio,
 tutto, o Megacle amato, io t’offro e tutto
 scarso premio sarà.
 Megacle
                                      Di tanti, o prence,
 stimoli non fa d’uopo
 al grato servo, al fido amico. Io sono
335memore assai de’ doni tuoi; rammento
 la vita che mi desti. Avrai la sposa;
 speralo pur. Nella palestra elea
 non entro pellegrin. Bevve altre volte
 i miei sudori. Ed il silvestre ulivo
340non è per la mia fronte
 un insolito fregio. Io più sicuro
 mai di vincer non fui. Desio d’onore,
 stimoli d’amistà mi fan più forte.
 Anello, anzi mi sembra
345d’esser già nell’agon. Gl’emuli al fianco
 mi sento già, già gli precorro e asperso
 dell’olimpica polve il crine, il volto
 del volgo spettator gl’applausi ascolto.
 Licida
 Oh dolce amico! O cara
350sospirata Aristea!
 Megacle
                                   Che?
 Licida
                                               Chiamo a nome
 il mio tesoro.
 Megacle
                           Ed Aristea si chiama?
 Licida
 Appunto.
 Megacle
                     Altro ne sai?
 Licida
                                              Presso a Corinto
 nacque in riva all’Asopo. Al re Clistene
 unica prole.
 Megacle
                         (Aimè. Questa è il mio bene).
355E per lei si combatte?
 Licida
 Per lei.
 Megacle
                 Questa degg’io
 conquistarti pugnando?
 Licida
 Questa.
 Megacle
                  Ed è tua speranza e tuo conforto
 sola Aristea?
 Licida
                           Sola Aristea.
 Megacle
                                                    (Son morto).
 Licida
360Non ti stupir. Quando vedrai quel volto
 forse mi scuserai. D’esserne amanti
 non avrebbon rossore i numi istessi.
 Megacle
 (Ah così nol sapessi).
 Licida
                                         Oh se tu vinci!
 Chi più lieto di me? Megacle istesso
365quanto mai ne godrà! Di’, non avrai
 piacer del piacer mio?
 Megacle
                                            Grande.
 Licida
                                                              Il momento
 che ad Aristea m’annodi,
 Megacle di’, non ti parrà felice?
 Megacle
 Felicissimo. (Oh dei!)
 Licida
                                           Tu non vorrai
370pronubo accompagnarmi
 al talamo nuzzial?
 Megacle
                                    (Che pena!)
 Licida
                                                             Parla.
 Megacle
 Sì. Come vuoi. (Qual nuova spezie è questa
 di martirio, d’inferno!)
 Licida
                                             Oh quanto il giorno
 lungo è per me! Che l’aspettare uccida
375nel caso in cui mi vedo,
 tu non credi o non sai.
 Megacle
                                           Lo so; lo credo.
 Licida
 Senti amico. Io mi fingo
 già l’avvenir, già col desio possiedo
 la dolce sposa.
 Megacle
                             (Ah questo è troppo).
 Licida
                                                                      E parmi...
 Megacle
380Ma taci. Assai dicesti. Amico io sono,
 il mio dover comprendo
 ma poi...
 Licida
                    Perché ti sdegni? In che t’offendo?
 Megacle
 (Imprudente, che feci!) Il mio trasporto
 è desio di servirti. Io stanco arrivo
385dal cammin lungo; ho da pugnar; mi resta
 picciol tempo al riposo e tu mel togli.
 Licida
 E chi mai ti ritenne
 di spiegarti finora?
 Megacle
                                      Il mio rispetto.
 Licida
 Vuoi dunque riposar?
 Megacle
                                           Sì.
 Licida
                                                   Brami altrove
390meco venir?
 Megacle
                          No.
 Licida
                                    Rimaner ti piace
 qui fra quest’ombre?
 Megacle
                                          Sì.
 Licida
                                                  Restar degg’io?
 Megacle
 No.
 Licida
           (Strana voglia!) E ben, riposa. Addio.
 
    Io ti lascio. Dormi in pace
 di quest’aure al mormorio.
395Riposar potessi anch’io!
 Ma riposo amor non dà.
 
    Se d’amor l’ardente face
 ti riscalda un giorno il petto,
 tu saprai qual è il diletto
400che il crudel provar ci fa.
 
 SCENA IX
 
 MEGACLE solo
 
 Megacle
 Che intesi, eterni dei! Quale improvviso
 fulmine mi colpì! L’anima mia
 dunque fia d’altri! E ho da condurla io stesso
 in braccio al mio rival! Ma quel rivale
405è il caro amico. Ah quali nomi unisce
 per mio strazio la sorte! Eh che non sono
 rigide a questo segno
 le leggi d’amistà. Perdoni il prence,
 ancor io sono amante. Il domandarmi
410ch’io gli ceda Aristea non è diverso
 dal chiedermi la vita. E questa vita
 di Licida non è? Non fu suo dono?
 Non respiro per lui? Megacle ingrato
 e dubitar potresti? Ah se ti vede
415con questa in volto infame macchia e rea
 ha ragion d’abborrirti anche Aristea.
 No, tal non mi vedrà. Voi soli ascolto,
 obblighi d’amistà, pegni di fede,
 gratitudine, onore. Altro non temo
420che il volto del mio ben. Questo s’eviti
 formidabile incontro. In faccia a lei,
 misero, che farei! Palpito e sudo
 solo in pensarlo e parmi
 instupidir, gelarmi,
425confondermi, tremar... No, non potrei...
 
 SCENA X
 
 ARISTEA e detto, poi ALCANDRO
 
 Aristea
 Stranier.
 Megacle
                    Chi mi sorprende?
 Aristea
                                                         Oh stelle!
 Megacle
                                                                             Oh dei!
 Aristea
 Megacle! Mia speranza!
 Ah, sei pur tu. Pur ti riveggo. Oh dio,
 di gioia io moro. Ed il mio petto a pena
430può alternare i respiri. Oh caro, oh tanto
 e sospirato e pianto
 e richiamato invano. Udisti alfine
 la povera Aristea. Tornasti e come
 opportuno tornasti! Oh amor pietoso!
435Oh felici martiri!
 Oh ben sparsi finor pianti e sospiri!
 Megacle
 (Che fiero caso è il mio!)
 Aristea
                                                Megacle amato
 e tu nulla rispondi?
 E taci ancor? Che mai vuol dir quel tanto
440cambiarti di color? Quel non mirarmi
 che timido e confuso? E quelle a forza
 lagrime trattenute? Ah più non sono
 forse la fiamma tua? Forse...
 Megacle
                                                      Che dici!
 Sempre... Sappi... Son io...
445Parlar non so. (Che fiero caso è il mio!)
 Aristea
 Ma tu mi fai gelar. Dimmi; non sai
 che per me qui si pugna?
 Megacle
                                                 Il so.
 Aristea
                                                             Non vieni
 ad esporti per me?
 Megacle
                                      Sì.
 Aristea
                                              Perché mai
 dunque sei così mesto?
 Megacle
450Perché... Barbari dei! (Che inferno è questo!)
 Aristea
 Intendo. Alcun ti fece
 dubitar di mia fé. Se ciò t’affanna,
 ingiusto sei. Da che partisti, o caro,
 non son rea d’un pensier. Sempre m’intesi
455la tua voce nell’alma. Ho sempre avuto
 il tuo nome fra’ labbri,
 il tuo volto nel cor. Mai d’altri accesa
 non fui, non sono e non sarò. Vorrei...
 Megacle
 Basta. Lo so.
 Aristea
                          Vorrei morir più tosto
460che mancarti di fede un sol momento.
 Megacle
 (Oh tormento maggior d’ogni tormento!)
 Aristea
 Ma guardami, ma parla
 ma di’...
 Megacle
                   Che posso dir?
 Alcandro
                                                Signor, t’affretta
 se a combatter venisti. Il segno è dato
465che al gran cimento i concorrenti invita.
 Megacle
 Assistetemi, o numi. Addio, mia vita.
 Aristea
 E mi lasci così? Va’, ti perdono
 pur che torni mio sposo.
 Megacle
                                               Ah sì gran sorte
 non è per me.
 Aristea
                             Senti. Tu m’ami ancora?
 Megacle
470Quanto l’anima mia.
 Aristea
                                         Fedel mi credi?
 Megacle
 Sì, come bella.
 Aristea
                              A conquistar mi vai?
 Megacle
 Lo bramo almeno.
 Aristea
                                    Il tuo valor primiero
 hai pur?
 Megacle
                   Lo credo.
 Aristea
                                      E vincerai?
 Megacle
                                                             Lo spero.
 Aristea
 Dunque allor non son io,
475caro, la sposa tua?
 Megacle
                                    Mia vita... Addio.
 
    Ne’ giorni tuoi felici
 ricordati di me.
 
 Aristea
 
    Perché così mi dici,
 anima mia, perché?
 
 Megacle
 
480   Taci, bell’idol mio.
 
 Aristea
 
 Parla, mio dolce amor.
 
 Megacle, Aristea a due
 
 Ah che parlando
                                 oh dio
 Ah che tacendo
 tu mi trafiggi il cor.
 
 Aristea
 
    Veggio languir chi adoro
485né intendo il suo languir!
 
 Megacle
 
    Di gelosia mi moro
 e non lo posso dir!
 
 a due
 
    Chi mai provò di questo
 affanno più funesto,
490più barbaro dolor?
 
 Fine dell’atto primo